giovedì 6 settembre 2018

Prima imparare a camminare e poi iniziare a correre.

Se parliamo di un qualsiasi sport, diciamo il tennis, lo potremo definire un'attività complessa, che prevede l'apprendimento di sequenze di movimenti da applicare in situazioni non prevedibili ed improvvise.
Se vogliamo imparare a giocare, partendo da una base fisica adeguata, qualsiasi maestro ci insegnerà i fondamentali, come tenere la racchetta, fare un dritto, un rovescio, una battuta, una volee, e poi ci farà applicare questi fondamentali in campo attraverso vari esercizi, fino ad arrivare ad una partita completa.
Questo discorso appare così banale che nessuno si sognerebbe mai di entrare in una scuola tennis dicendo al maestro: "insegnami a tirare un bella palla corta, in modo che il mio avversario scenda a rete ed io possa sempre bucarlo con un passante incrociato". Qualsiasi maestro riderebbe di noi e ci direbbe che prima dobbiamo imparare a giocare, poiché non è possibile insegnare sequenze preordinate che vadano sicuramente a segno.
Ma se questo è cosi chiaro per il tennis, come per qualsiasi altro sport, intesa come attività motoria complessa, ci possiamo chiedere perché tutto ciò non vale nelle arti marziali e nella difesa personale, dove peraltro gli elementi di imprevedibilità aumentano esponenzialmente rispetto ad uno sport
Parlando di difesa personale, ed in particolare di quanto nella difesa personale attiene al combattimento, vogliamo tornare sull'argomento del post precedente.
Faremo però un discorso in positivo, sottolineando cosa nella Fight Academy viene insegnato per poter dare una chance di successo ad una persona che, partendo da zero, vorrebbe imparare a difendersi.
Partiamo dallo stare in piedi, aspetto che, secondo noi, riguarda la preparazione atletica, la capacità di avere una struttura corporea nel combattere, ed un grado accettabile di forza.
Ad un livello successivo troviamo le tecniche base, di pugni, di calci e di lotta in piedi e a terra.
C'è poi l'applicazione delle tecniche, con i colpitori e con lo sparring da collaborativo a sempre più libero.
A questo punto abbiamo un certo livello di competenze e ci rendiamo conto di cosa funziona, e cosa non funziona, abbiamo affinato nello sparring timing, occhio, riflessi, capacità di resistere ai colpi ed allo stress. Non saremo pronti per il ring o la gabbia, ma saremo di gran lunga già superiori a praticanti di arti che non prevedono applicazioni non collaborative.
Secondo la visione della Fighting Academy in questo momento, e solo in questo momento, saremo pronti per inserire altre tipologie di lavori, magari più specifici, tipo lavori a scenario o per esigenze lavorative particolari.
Chissà perché in molte realtà si da l'impressione di poter imparare a correre subito, senza insegnare a camminare, propinando sequenze di movimenti decontestualizzati dalla realtà che dopo un certo allenamento verranno sicuramente apprese bene, ma non potranno essere applicate al di fuori di un contesto collaborativo.
Tornando al tennis, se dopo un anno io ho allenato solo il dritto, sarò bravissimo a farlo, ma solo finché la pallina mi viene costantemente messa sul dritto, tuttavia, quando andrò in partita, farò una pessima figura. Peccato che in ottica di difesa personale ci si gioca più di una brutta figura.

domenica 8 ottobre 2017

Si può diventare pugili colpendo il sacco?

Il titolo del post è volutamente provocatorio. Nessuno può pensare di diventare pugile e saper combattere utilizzando solamente l'allenamento al sacco, il sacco è fermo, incassa e non può rispondere. Il sacco è uno strumento e non importa quanto si possa essere bravi, potenti e precisi utilizzandolo, quante belle combinazioni ci si riesce a fare, se ci si è allenati solo al sacco, come si fa a combattere?
Queste affermazioni sono ampiamente condivisibili, non c'è neanche bisogno di dirlo, ma allora come mai in molte arti marziali i praticanti sono convinti di saper combattere, solamente allenandosi con un compagno che fa da sacco?

Spieghiamoci meglio. Su internet sono presenti una miriade di video di questo genere: un allievo o un compagno portano la tecnica, spesso un diretto sinistro, o, se si vuole farla più da strada, un diretto destro o un gancione, e il maestro risponde parando o intercettando, eseguendo successivamente una combinazione di mosse, che va dai pugni alle proiezioni, ma con l'allievo freezato e rimasto immobile dopo il primo pugno.

Ovviamente la qualità dei video spazia da evidenti incapaci, ad ottimi esecutori delle tecniche in questione, tuttavia la dinamica rimane più o meno questa. Per sgombrare il campo da dubbi, non intendiamo video in cui si mostra, ed eventualmente si insegna, la tecnica, che, almeno inizialmente,  deve necessariamente prevedere un'alta dose di collaborazione. Ci riferiamo ai video in cui i sifu, gli insegnanti, i maestri, mettono in mostra le loro pretese competenze tecniche su compagni che si immobilizzano al primo soffio di vento.

Questa dinamica non si trova solo nel tanto vituperato ving tsun, che peraltro spesso parte da attaccati, da  chi sao e quindi attraverso il trapping e la rottura della struttura trova in parte una giustificazione, ma anche in molti stili che sembrano godere di maggior credito, come la parte a mani nude delle arti marziali filippine, in vari stili di kung fu, in certi sistemi reality based, etc.

Finché questa modalità è dettata soltanto dal narcisismo del maestro, che mostra all'esterno quanta capacità e precisione nei movimenti possiede, praticando con allievi compiacenti che si arrestano immediatamente, può anche essere ininfluente in termini di qualità dell'insegnamento, a patto che poi ci sia dell'altro, e nella fattispecie un'applicazione non collaborativa.
Tuttavia, se l'arte o sistema insegnato, si basa soltanto su reazioni prefissate con allievi e compagni ipercollaborativi, allora l'efficacia è oltremodo dubbia, se non assolutamente assente. E per certi casi, se così non è, perché non mostrarlo?

Quindi, così come non si può diventare pugili usando solo il sacco, allo stesso modo non si può apprendere un sistema di combattimento efficace facendo solo lavori collaborativi. Questo tipo di soluzioni, infatti, funzionano solo in quanto l'avversario non si muove. Per vedere se un sistema funziona bisogna provarlo in assenza di collaborazione.
Per questo, invitiamo ogni praticante a porsi delle domande sulla propria pratica, rispetto all'eventuale assenza di sparring ed applicazioni non collaborative, ed a chiedersi almeno per un momento,  se certe soluzioni che gli vengono insegnate potrebbero funzionare con una persona che non collabora e si muove, anche non troppo velocemente.

Se qualche maestro o sifu delle suddette arti si sentisse offeso da questo post, e pensasse di poter dimostrare che, invece, certi movimenti funzionano anche su avversari non collaborativi, noi della Fight Academy, con sifu Corsetti in primis, siamo sempre aperti al confronto ed alla prova, ovviamente in lealtà ed amicizia, ma senza fare sconti a nessuno. I contatti di sifu Corsetti, del resto, sono ben chiari ed evidenti.
Saluti.

venerdì 29 settembre 2017

La "presunzione di efficacia" vs "la prova di efficacia"

In molti praticanti di arti marziali, è presente una "presunzione di efficacia" rispetto all'arte da loro  praticata, dove con la parola presunzione intendiamo una congettura, una supposizione non supportata da dati reali, e non messa alla prova, e per efficacia intendiamo il raggiungimento di una reale capacità combattiva. 

Tale "presunzione" deriva da un processo di auto-convincimento, spesso vicino alla vera e propria suggestione, riguardante le proprie capacità combattive che vengono oltremodo sopravvalutate, in quanto esercitate unicamente all'interno della propria palestra attraverso modalità scarsamente competitive, e con compagni accomunati dalle stesse dinamiche di allenamento. Tale tipologia di praticante si esercita quindi all'interno di un sistema chiuso, che si pone come autoreferenziale trovando nel proprio microcosmo domande e risposte, senza un vero confronto.

Si potrebbe obbiettare che, per esempio, anche i praticanti di boxe si allenano fra loro in maniera autoreferenziale e senza scambi con praticanti da altre arti o sport da combattimento. Tuttavia, tralasciando il fatto che nessuno sano di mente potrebbe sostenere l'inefficacia della boxe in un combattimento, possiamo rispondere dicendo che i pugili non ricercano per forza un'efficacia difensiva da "strada" nella loro pratica, ma si allenano in uno sport. E questo se non vogliamo contare la continua riprova dell'efficacia della boxe, nelle competizioni sportive e non. 

D'altra parte quando si fanno questi discorsi, emerge il paradosso che i marzialisti, addestrati in arti della guerra, sono sempre gli ultimi ad allenarsi a contatto pieno, ed a scambiarsi qualche pugno non collaborativo, a differenza dei pacifici sportivi. Inoltre risultano quasi commoventi le infantili spiegazioni per non fare sparring, cioè che loro si allenano alla realtà, che in strada non ci sono arbitri, e che la loro arte è pericolosa, menomante e potenzialmente mortale. Tuttavia, nonostante siano in possesso di colpi proibiti, non riescono a reggere un minuto di sparring a media intensità, e spesso non sanno neppure dare due pugni degni di questo nome.   

Nonostante questo, molti marzialisti presumono di essere efficaci, senza alcuna prova a favore, tralasciando  qualsiasi capacità critica, logica e discriminatoria della realtà, ed operando un'attenta selezione delle informazioni in entrata, per filtrare e fermare ciò che può essere disconfermante le loro convinzioni. Tali meccanismi psicologici riguardano il tema della suggestione e si ritrovano ad esempio negli adepti alle sette.

Al polo opposto della presunzione di efficacia, troviamo invece la prova di efficacia. 
Non è poi così difficile trovare le prove della validità della propria pratica, anche senza andare in giro a provocare risse alla Trainspotting. Se la presunzione di efficacia si sviluppa in un sistema chiuso ed autoreferenziale, è ipotizzabile che la prova di efficacia possa trovarsi in un sistema aperto, che favorisce gli scambi.
Allora, indubbiamente, risulta fondamentale lo scambio, scambio che può comprendere lo sparring non collaborativo con i propri compagni di allenamento, il confronto con praticanti di altre discipline e scuole nel cross-training, ed in generale l'aprirsi, e rapportarsi, ad ogni situazione e realtà che si mostra seria ed aperta. 
L'apertura all'esterno, ad altre scuole e pratiche, rappresenta sempre un indice positivo e costituisce ricerca e prova, non presunzione di efficacia. Per cercare lo scambio però ci vuole una certa dose di umiltà, ma anche di confidenza in se stesso, cosa che purtroppo non tutti hanno. Ma alla fine ognuno fa quel che vuole, e le chiacchiere da salotto sono un passatempo rispettabilissimo, anche se noi preferiamo allenarci, sudare e confrontarci il più possibile.  


giovedì 22 giugno 2017

Le collaborazioni della Corsetti Fight Academy

Il mondo dei marzialisti rappresenta una comunità ampia, variegata e complessa, sia rispetto alla miriade di stili esistenti, sia all'interno di uno stesso stile. Come tutte le comunità, presenta caratteristiche di omogeneità qualora la si confronti al mondo esterno, pensiamo ai marzialisti confrontati ai non praticanti, ma di enorme disomogeneità al suo interno, pensiamo per esempio, anche grossolanamente, alle differenze fra praticanti di discipline cinesi e discipline giapponesi, oppure alle differenze fra arti marziali tradizionali e arti più "funzionali", o ancora alle differenze fra arti interne ed arti esterne. 

Se ci concentriamo sulla frammentazione interna dell'insieme dei praticanti, in varie scuole, correnti di pensiero e pratica, possiamo fare degli interessanti paragoni con altre tipologie di comunità. 
Prendiamo ad esempio due tipi di comunità, la comunità scientifica, che raggruppa individui che si occupano a vario titolo dell'incremento e della trasmissione del sapere, e la comunità religiosa, che raggruppa i credenti, intesi come persone che professano una qualunque fede rispetto a coloro i quali si professano atei.

 In maniera molto grossolana, anche perché non è questa la sede per questo genere di approfondimenti, possiamo dire che la comunità scientifica, per le sue stesse finalità, ovvero la ricerca di modelli interpretativi della realtà dai quali possano discendere applicazioni reali (ad esempio in medicina, in economia, in ingegneria, in psicologia etc. etc.), tende a favorire al massimo gli scambi fra i suoi appartenenti attraverso precisi strumenti (convegni, pubblicazioni, internet). La necessità di favorire gli scambi di informazioni in seno a questa comunità è così ovvia che non deve neanche essere spiegata, soprattutto a fronte della facilità attuale nel far questo.

Al contrario la comunità dei credenti, basandosi su assunti di base di tipo fideistico, che non si possono confutare pena la decadenza di tutto il sistema, (provate a dire a un cristiano che Gesù era solo un uomo ad esempio), presenta al suo interno una forte frammentazione che spesso non permette alcun reciproco scambio, ma al contrario pone le basi per un possibile esacerbarsi del conflitto (ed anche qui lasciamo alla vostra immaginazione nel trovare gli esempi per questo tipo di discorso).

Vi chiederete cosa c'entri questo discorso con i marzialisti?  Ebbene se facessimo un raffronto fra  la comunità dei marzialisti, la comunità scientifica e la comunità dei credenti, a quale di queste ultime due potrebbe somigliare di più la comunità marziale? La frammentazione fra varie arti, le rivalità fra scuole e lineage della stessa arte, le scuole setta, rappresentano un panorama conosciuto da tutti.
All'interno di molte scuole di arti marziali non vige il principio di realtà, secondo cui per dire che una cosa funziona deve essere messa alla prova, ma considerazioni di carattere fideistico del tipo "l'ha detto il maestro/sifu/sensei!" oppure: "a me non funziona, ma devi vedere il mio maestro/sifu/sensei" etc. etc.
Tutto ciò porta alla mancanza di confronto, alla chiusura ed all'autoreferenzialità.

Da queste considerazioni discende che una scuola chiusa, autoreferenziale e senza apertura verso l'esterno, porterà avanti un sistema fortemente cristallizzato, statico e sempre più avulso da un contesto di applicazione reale.
In un certo qual modo, il grado di apertura di una scuola alla realtà esterna ed al confronto, non può che essere un valido indicatore della serietà, ed anche dell'efficacia degli insegnamenti della scuola stessa.

Trovandovi a leggere il blog della Corsetti Fight Academy, vi chiederete dove vogliamo andare a parare con questo discorso. Immagini e video parlano da soli nel testimoniare l'impegno e la serietà che sifu Corsetti mette nel cercare il confronto e stringere legami e rapporti con realtà sportive, scuole ed insegnanti di grande valore. Legami e rapporti che i suoi allievi possono sfruttare con grande arricchimento. Quello che sifu Corsetti sta costruendo con serietà ed umiltà, mettendosi sempre in gioco in prima persona, infatti, permette ai suoi allievi di confrontarsi con validissimi istruttori e praticanti di altre discipline, spaziando in molti campi del combattimento, sia sportivo che reality based.
  
E voi? Volete solo avere fede o iniziate a mettervi in gioco?





Sifu Daniele in allenamento con il campione di boxe Mirco Ricci:







Sifu Daniele con il Coach e pluricampione mondiale 
di full contact e kick-boxing Stefano Cecchetti:







Sifu Daniele con il maestro di Bjj Marco Grigis, 
coach di lotta a terra nella Legio's Team di Alessio Sakara.
Seminario di striking e lotta a terra:










Seminario congiunto Corsetti Fight Academy e Spartan Academy Ckm.
Sifu Daniele con Piergiuseppe Giambanco (Istruttore livello 8 Commando Krav Maga):























Sifu Daniele con uno dei suoi maestri di boxe,
il maestro Luciano Sordini:
































Sifu Daniele con il GM Tassos 








domenica 11 giugno 2017

Ancora sul chi sao

Guardando le statistiche di questo blog, ci siamo accorti che il post che ha nettamente ricevuto più visualizzazioni è stato quello che parla del chi sao. Questo risultato inizialmente ci ha stupito, ma pensandoci un po' ci è sembrato assolutamente prevedibile.

Ci ha stupito perché, seppure ovviamente degno di interesse, il chi sao, come più volte specificato, rappresenta solo una parte di quanto insegnato da sifu Daniele sullo streetfighting, ed in verità anche una parte molto specializzata. Come già detto, infatti, nella Fight Academy il chi sao è essenzialmente un esercizio, all'interno del quale studiare ed imparare a gestire la distanza di passaggio fra lo striking ed il corpo a corpo. Entra quindi in gioco in un momento molto specifico di incrocio delle guardie, e di contatto con le braccia dell'avversario, insegnando all'allievo ad essere sensibile ed a gestire le pressioni, preludendo al colpire od al corpo a corpo, con la chiusura della distanza. 

Data tale funzione il chi sao non può certo essere totalizzante nella pratica, in quanto si occupa di un momento molto specifico. Allenarsi nel chi sao per la maggior parte del tempo, quindi, diventa nella migliore delle ipotesi di parziale utilità, e nella peggiore completamente inutile

Tuttavia il chi sao  è una pratica che affascina soprattutto i neofiti, ed è proprio per questo che, pensandoci bene, non ci stupisce più di tanto l'interesse suscitato. Il chi sao affascina perché provoca l'illusione di poter ottenere una qualche magica sensibilità, che verrà fuori nel momento del bisogno, e ci farà prevalere con un'abile mossa anche contro un avversario  determinato e più forte, pure se noi siamo degli impiegati con la panzetta. E tutto questo senza sudare troppo, muoversi troppo o faticare troppo, ma solamente girando le mani e toccandosi a vicenda quando si sente un'apertura. La convinzione latente di certe persone, è che, imparando il chi sao, potranno evitare qualsiasi attacco, rivolgerlo contro l'avversario, e diventare invincibili ed intoccabili. Vi assicuriamo che quest'idea è solamente una pia illusione.


Guardate in sequenza questi tre video:


 



Sicuramente possiamo trovare tantissimi esempi sul web di queste tipologie di allenamento, chi sao, allenamento ai colpitori e sparring, ma difficilmente li troveremo fatti dalla stessa persona. Il problema è che fare le cose che si vedono nel primo video, senza allenarsi anche come si vede nel secondo e nel terzo, è sicuramente divertente, ma assolutamente inutile se il fine è imparare a difendersi combattendo.  
Se il chi sao ci serve ad imparare a gestire il momento di passaggio da una distanza all'altra, il flusso dinamico fra distanza media, corta e corpo a corpo, cosa ce ne facciamo se poi non sappiamo colpire o lottare in maniera accettabile. Ovviamente se il nostro fine è imparare a combattere, e non a fare giochetti di sensibilità per divertirsi con gli amici.
Però le illusioni sono belle per tutti, ed ecco forse perché il chi sao è così popolare.

Chiunque voglia venire a provare il chi sao della Fight Academy è sempre ben accetto, ma sappia che poi gli tocca pure allenarsi ai colpitori ed addirittura fare sparring.
Purtroppo se non si suda e fatica non si ottiene niente, e col chi sao da solo al massimo ci giochi a battimano.